Lettera scritta alla vigilia della battaglia dell’Ortigara, nel giugno 1917, dal Ten. Adolfo Ferrero, torinese d’anni 20, III Alpini, Btg. Val Dora, medaglia d’argento al valor militare, laureato ad Honorem in Lettere e Filosofia, che trovò eroica morte il 19 giugno e le cui gloriose spoglie riposano nel Sacrario Militare di Asiago. La lettera fu ritrovata quasi vent'anni dopo addosso alla salma di un caduto e l'originale è esposto nel Museo del Sacrario.

Cari genitori,

scrivo questo foglio nella speranza che non vi sia bisogno di farvelo pervenire. Non ne posso fare a meno. Il pericolo è grave, imminente. Avrei rimorso se non dedicassi a voi questi istanti di libertà, per darvi un ultimo saluto.

Voi sapete che odio la retorica... No, no, non è retorica quella che sto facendo. Sento in me la vita che reclama la sua parte di sole; sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa, ma orrenda.

Fra cinque ore qui sarà un inferno. Fremerà la terra, s’oscurerà il cielo, una densa caligine coprirà ogni cosa e rombi e boati risuoneranno fra questi monti, cupi come le esplosioni che in questo istante medesimo sento in lontananza. Il cielo si è fatto nuvoloso: piove.

Vorrei dirvi tante cose... tante.... ma Voi ve l’immaginate. Vi amo tutti, tutti.... Darei un tesoro per potervi rivedere... Ma non posso... Il mio cieco destino non vuole. Penso in queste ultime ore di calma apparente, a te, Papà, a te, Mamma, che occupate il primo posto nel mio cuore; a te, Beppe, fanciullo innocente, a te, Nina... Che debbo dire? Mi manca la parola: un cozzar di idee, una ridda di lieti e di tristi fantasmi, un presentimento atroce mi tolgono l’espressione... No, No, non è paura. Io non ho paura! Mi sento commosso, pensando a Voi, a quanto lascio, ma so di mostrarmi forte dinanzi ai miei soldati, calmo e sorridente. Del resto anch’essi hanno un morale elevatissimo.

Quando riceverete questo scritto, fattovi recapitare da un’anima buona, non piangete. Siate forti come avrò saputo esserlo io. Un figlio morto in guerra non è mai morto. Il mio nome resti scolpito nell’animo dei miei fratelli; il mio abito militare, la mia fidata pistola (se vi verrà recapitata), gelosamente conservati, stiano a testimonianza della mia fine gloriosa. E se per ventura mi sarò guadagnata una medaglia, resti quella a Giuseppe.

O genitori, parlate, parlate, fra qualche anno, quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratellini, di me, morto a vent’anni per la Patria. Parlate loro do me; sforzatevi di risvegliare in loro il ricordo di me... Che è doloroso il pensiero di venire dimenticato da essi... Fra dieci, vent’anni forse non sapranno più d’avermi avuto fratello...

A voi mi rivolgo. Perdono, perdono vi chiedo, se vi ho fatto soffrire, se v’ho dato dispiaceri. Credetelo, non fu per malizia. la mia inesperta giovinezza vi ha fatto sopportare degli affanni: vi prego di volermi perdonare...

Spoglio di questa vita terrena andrò a godere di quel bene che credo di essermi meritato.

A voi, Babbo e Mamma, un bacio, un bacio solo che dica tutto il mo affetto. A Beppe, a Nina un’altro ed un monito: ricordatevi di vostro fratello. Sacra è la religione dei morti. Siate buoni. Il mio spirito sarà con voi sempre. A Voi lascio ogni mia sostanza. É poca cosa. Voglio però che sia da Voi gelosamente conservata. A Mamma, a Papà lascio...il mio affetto immenso. É il ricordo più stimabile che posso loro lasciare. Alla zia Eugenia, il Crocefisso d’argento; al mio zio Giulio, la mia Madonnina d’oro. La porterà certamente. La mia divisa a Beppe, come le armi e le robe mie. Il portafoglio (L. 100) lo lascio all’attendente.

Un bacio ardente d’affetto dal vostro aff.mo

Adolfo...  


 

S.Ten. Giancarlo Conti, Battaglione Bassano, classe 1893. Primo giorno della Battaglia, e l'ultimo!

Miei diletti genitori,

fra qualche ora dovrò affrontare le vicende della grande battaglia odierna e guidare i miei baldi, affezionati soldati alla vittoria.

Affronto i pericoli del grande cimento con la più grande serenità, forte di quella fortezza che nasce dalla piena fiducia in Dio e nel completo abbandono ai Suoi eterni decreti.

Ho avuto nella mia vita tre grandi amori, l’un l’altro compenetrati ed alimentati da un unico affetto e da una sola fiamma: Dio, la Patria e la Famiglia.

A Dio, protestando intera la mia fede, domando nuovamente perdono delle mie colpe e Lo ringrazio di ogni bene ricevuto dalla sua misericordia. Spero che il mio sacrificio sia propizievole alla salute eterna dell’anima mia ed alla vittoria decisiva delle armi nostre.

Per la Patria muoio contento, augurando ad Essa ed a tutti i suoi figli giorni migliori.

Alla famiglia, a voi genitori soprattutto, mando il mio affettuoso saluto di devoto attaccamento, grato d’aver trovato in essa ogni gioia più pura e intima. Per voi, genitori, per voi, sorelle, per te, mio caro Alfredo, io prego da Dio la rassegnazione ai divini voleri e la forza di sopportare cristianamente il dolore immenso del mio sacrificio che io compio volentieri, per attestare con tanti altri miei fratelli la giustizia e la nobiltà della causa per la quale abbiamo combattuto ed offerto i nostri petti.

Viva l’Italia!

Giancarlo

 

 


 

Rossi Mario Tancredi, S.Ten. degli Alpini, nato il 29/12/1893. Il suo destino si compirà il 16 giugno

Vi scrivo di sotto al rombo delle artiglierie. Sono le 8,30 del 10 giugno 1917. Alle due di oggi le colonne d’attacco italiane, formate da ventimila alpini, marceranno sull’Ortigara, su Campigoletti e su Cima Dodici. Poi?

Oggi, madre e miei cari, può compiersi il mio destino! Io sono preparato e forte più del mio stesso cuore. A ventitré anni e mezzo potrei essere al compimento della mia vita. Non rimpiangetemi! Ho sognato fanciullo la gloria, la poesia, l’amore. Forse oggi tutto si compie.

Ho amato l’Italia sopra tutte le cose e per essa muoio, sono pronto a morire. Che Iddio eterno in cui credo e col quale ho fatto la comunione di spirito, per Eucaristia, possa consolarvi se mai io muoia.

Sappiate che io sarò morto con negli occhi la visione dell’Italia e di te, madre, sovra ogni altra pura e santa, e di te, padre, ammirabile e forte, e di voi, sorelle dolci, e di te, fratello, faticato tu pur dalla vita.

Sappiate che io sarò morto sereno e felice con negli occhi la gloria sotto l’azzurro cielo d’Italia, sull’alto delle montagne che amai sopra tutte le cose belle che il mondo mostrò. Ho vissuto ventitré anni: ho ancora cercato la virtù e la purezza del cuore; peccato ho spesse volte, ma parli per mia difesa il rimorso e il giudizio cui sottoponevo ogni mia azione, in nome di Dio che sa.

Chiedo, madre, perdono a te, e a te padre, a tutti, miei cari, se alcuna volta ho recato a voi dolore. lascio la vita col solo dolore del pianto di mia madre, della mia casa e di quella fanciulla che fu la mia ultima speranza. Possa tu, madre, baciarla in fronte per me e dirle che così era il destino e tale la volontà del Signore; e però sarò morto con lei accanto a voi nel mio cuore. Iddio vi terga il pianto col pensiero che posato è il mio sangue in terra d’Italia, per l’Italia e per l’umanità che tende alla redenzione solo per virtù del sangue. Ci rivedremo nell’eterno cielo!

Non lascio per mio ricordo che a te, madre, tutte le mie povere cose scritte, eredità del pianto solingo e triste.

Non lascio che le mie memorie e il nome oscuro, io, uno degli indefiniti ignoti che saranno morti e che moriranno per l’enigma del mondo...

Vado con la fede nella salvezza che tu mi hai promessa, ma se io non tornerò sappi che Cristo ha detto: "Sola salvezza è in Dio".

Vi bacio infinitamente. Morirò con voi nel cuore. Dite addio a lei, ultima immagine della primavera e della vita. Vi consoli la mia memoria e gridate con "Viva l’Italia".

 


 

Ricordi del Magg. Milanesio, comandante il Btg. "Sette Comuni" prima dell'assalto 1l 10 giugno

 

«Col canto a voce spiegata, alternando gli inni della Patria, cercavano superare il fragore assordante degli scoppi secchi e rabbiosi, degli schianti, dei sibili incrociantisi nell'aria infuocata.

Musica terribile: spettacolo profondamente impressionante!

In quell'ora d'una tragicità suprema, tutti i cuori battevano come un solo cuore e gli animi erano saldi come un fascio solo di energie inflessibili. L'ideale sacro della Patria aveva pieno il sopravvento, in quelli anime semplici e ardenti, su tutti gli altri sentimenti umani.»

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