Sottotenente

Battaglione Alpini

" Aosta"

 

Nato a Pisa

nel 1898

 

Caduto

sul Monte Grappa

nel 1918

 

     

Fulgido esempio di coraggio e di fermezza, in sanguinosi combattimenti, si distingueva con atti di altissimo valore. Con pochi soldati, affrontava in accanita lotta un numero di nemici più volte superiore. Ferito una prima volta da una pallottola che gli traforava una spalla, rimaneva fra i suoi, e poiché gli avversari, avuti rinforzi, violentemente contrattaccavano, balzava dalla trincea e, trascinandosi dietro i suoi soldati, ricacciava i nemici, infliggendo loro gravi perdite. Ferito nuovamente ad una coscia, non voleva assolutamente abbandonare il reparto. Rimasto nelle linee, in una nuova repentina e furiosa ripresa di combattimento, esaltava i suoi uomini con grida di entusiasmo, contenendo prima l'urto degli avversari e ricacciandoli poi, finché colpito morte in fronte, gloriosamente cadeva, spirando col grido di "Viva I'Italia"'.

(Monte Solarolo, 24 - 26 0ttobre 1918)

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Accanto ad Aldo Beltricco, che !a disciplina militare aveva inteso come dedizione suprema di sé stesso, e a Ferdinando Urli, che nell'altissimo sacrificio trasfuse l'ardente misticismo della sua fede, alla testa della gloriosa schiera dei morti tutti dell’Aosta sta Enzo Zerboglio. l'eroe giovinetto, che cadendo, prode fra i prodi. nell'ultima battaglia, volle conchiudere colla prova del più alto valore il ciclo eroico delle gesta dell'Aosta e l'epopea stessa d'Italia.

Egli era giunto al Battaglione coi “pupi” del '98 sul finire del tragico 1917, quando dal Massiccio del Pasubio si guardava ad oriente con l’animo impietrito dall'angoscia e dalla volontà di «tener duro».

Giunto con una di quelle ondate di fresche energie che dai depositi fluivano a reintegrare i vuoti dei Battaglioni, il giovanissimo Aspirante svelava subito ai Colleghi la figura tipica dello studente che, lasciate le aule dello studio e vestita la Divisa dell'Ufficiale, aveva potuto alfine appagare le proprie generose impazienze, vivendo la dura vita della trincea. Ma non era in lui né irrequietezza, né baldanza, ne gogliardica spensieratezza; e stupiva quasi il suo contegno per lo più serio e taciturno, costan­temente dominato dalla idea del dovere. Solo a pochissimi intimi; apparivano, talora a tratti, quasi intravisti sotto una modestia che nulla aveva di falso, gli aspetti di una intelligenza meditativa, di una bontà, di una delicatezza d'animo singolare.

Donde sia scaturita questa pacata figura di Eroe, come siano sorti, in qual modo siansi formati e rafforzati i fermissimi propositi che, attraverso prodigi di valore, condussero Enzo Zerboglio alla fine gloriosa, con semplicità pari alla grandezza del sacrificio, dicono ora le pagine che con commozione sconsolata, ha raccolto il padre suo. Ed è con cocente rinnovato rimpianto per chi lo conobbe, che rivive nella lontananza il giovinetto che nella dolcezza degli affetti famigliari. nell'amore agli studi, nella passione per la montagna da Lui percorsa sotto la guida paterna, andava inconsciamente maturando il corpo e lo spirito al luminoso destino.

Nulla di eccezionale nella sua esistenza: ma una visione esatta della vita, indice di precoce maturità una natura essenzialmente positiva e realistica, per quanto piena di affettuosità e di sentimento, che gli faceva scrivere ai suoi, partendo per la guerra: “Sperare sempre senza vivere nel mondo delle illusioni, sperare ragionando e rendendosi ben conto della realtà delle cose”.

Ma sopratutto Egli era animato da un'altissima coscienza del proprio dovere.

Scrive un suo compagno di guerra al padre:

Enzo aveva il senso perfetto del dovere e come tale deve avere incluso in questo dovere il dono della vita. Considerazione obbiettiva secondo la quale disciplinò tutta la sua volontà: sicchè le manifestazioni furono in ogni momento di una compostezza austera, serena, fattiva. senza smarrimenti. L'opera sua si svolse senza clamori, diligente, costante. scrupolosa. Essa sapeva varcare i confini imposti dagli ordini sempre nel senso del miglior rendimento. Fu parco di parole e quelle poche che disse furono tutte assennate. Castigatissimo nei costumi anche quando !e circostanze sembravano volessero indulgere ai sensi. Buono e dignitoso cogli Inferiori: buono e generoso coi compagni: deciso nel comandare: pronto nell'obbedire.

Non ostentò mai severità o maturità precoce. Fu uomo fatto e fanciullo in deliziosa armonia di spontanei atteggiamenti. Amava sentirsi chiamare da me «il mio pupo». Quando. imitando la parlata natia e la rapidità abituale dell’eloquio suo. io lo chiamavo «pisano»  rideva con ingenua espansione e mi ripagava con un «varesotto, varesotto» pieno di affettuosa caricatura.

Si espandeva in una schietta giocondità come quella di un bambino davanti a un giocattolo. allorché ascoltava i discorsi del compagno Lustrissy (Caduto con Lui, altra figura purissima del Battaglione) che Egli amava molto. Diventava giocondo, dicevo, poiché il Sottotenente Lustrissv aveva un modo caratteristico di narrare le cose, pieno di enfasi infantile di gesti e di espressioni mutevoli del viso.

Nelle ore di riposo amava segregarsi, immergersi in letture serie: sdegnò sempre quelle frivole. Quando a Malga Busi gli vidi un giorno fra mano, non so più qual volume su San Paolo, gli mostrai per successione di pensiero un libriccino che mi era stato dato come viatico allorché partii per il fronte. Era "l’Imitazione di Cristo". E vi leggemmo insieme una frase: “Combatti come buon soldato e se mai per fragilità cadi, riprendi forze più gagliarde di prima, confidando in una maggiore grazia mia, e guardati bene da compiacenza vana e superba”. Si fece per un istante meditabondo: ciò mi parve cosa naturale, poiché già l'avevo veduto presente e pensoso ai riti del campo.

Vana compiacenza o superbia non offuscarono mai lo spirito Suo. Le anime, lassù, istintivamente si rivolgevano alle cose eterne, poiché le transitorie facevano vacillare le virtù necessarie…"

Quale sia stato il contegno di que­sto umanissimo Eroe in battaglia dice il Maggiore Vecchi, Comandante del Battaglione, dando conto al padre degli estremi momenti di Lui :

Enzo fu il più bell'eroe che io abbia visto in tutti i combattimen­ti sostenuti... Anima più nobile, più vigorosa non vidi mai... Egli col suo temperamento mite e calmo era (al Solarolo) diventato un leone. Comandava il drappello. di collegamento. I suoi soldati già ridotti di numero, nei momenti più critici. gli sì serrarono intorno e quel manipolo sotto il comando di Enzo valeva per mille.

Verso le 16, ridotti a pochi uomini, anche Galli ed io ci mettemmo attorno ad essi combattendo come soldati. Enzo aveva già una ferita che sanguinava orribilmente: gli dissi di medicarsi. Si allontanò un minuto e poi ritornò con bombe a mano ed alcuni caricatori nel cappello. Poi seguitò a combattere senza curarsi del sangue che perdeva. Gli Austriaci infierivano; noi li maciul­lavamo; per dar loro a credere di essere in numero, grida di «Viva l'Aosta», lanciate da Enzo e da Galli, risuonarono per tutta la linea. Anche i feriti che un po' gemevano, un po’ portavano munizioni, gridavano  «Viva l'Aosta».

Una pallottola aveva già colpito Enzo alla spalla: un'altra Io colpì ad una gamba; seguitò a combattere. non badando al sangue che usciva e gli inzuppava gli abiti…

In piedi lanciava bombe, sparava.., colpito alla testa, cadde... I suoi grandi occhioni che si erano infuocati nell'ardore della lotta divennero calmi.... Galli corse ad abbracciarlo e lo portammo indietro. Disse «Sono finito». Io lo abbracciai, il mio povero Enzo. anche per lei, per la sua mamma,. ed il mio affetto in quel mo­mento divenne ancora più grande.

lo amavo Enzo. come un figliolo... lo proposi per la Medaglia d'Oro al Valor Militare: se altra ricompensa maggiore fosse stata possibile: l'avrei data

Certo oggi Enzo sorride dall'alto massacratissírno “Aosta”, Medaglia d'Oro.

n.v.

da "L'Alpino" n° 17 - Settembre 1923