Primo Maresciallo Luca Barisonzi |
Luca Barisonzi, ha vent'anni ed è Caporale dell’8° Reggimento Alpini
quando, il 18 gennaio
2011, all’interno dell’avamposto nella zona di Bala
Murghab, un «terrorista infiltrato» nell’esercito afgano
spara a bruciapelo
ferendolo al collo ed al torace ed
uccidendo il Caporalmaggiore Luca Sanna. Paralizzato
dal collo in giù, con grande coraggio Luca, riacquista la parola,
muove il braccio destro, flette il sinistro. L’Associazione
Nazionale Alpini con le sue Sezioni ed i suoi Gruppi decidono di
costruirgli una casa a sua misura, senza barriere architettoniche,
domotica. Antonio Munari, Consigliere Nazionale dell'A.N.A. e
Direttore dei lavori spiega:
«Credo che il tempo della sofferenza per ciò che è stato ormai sia
passato. Ora, per me, è iniziato il lavoro per ciò che sarà. Per il
mio futuro». Il mio futuro? «È con la mia famiglia e, sempre, con
indosso la Divisa. Rimarrò
quello che sono: un Alpino. Non cambia niente. Si è Alpini per
sempre». «Voglio dire il mio “grazie“ a tutti quelli
che si sono impegnati per realizzare questa casa che mi aiuterà a
vivere nel modo più normale possibile.
Luca Barisonzi è stato promosso al grado di Primo Maresciallo ed insignito della Croce d'Argento al Valore dell'Esercito Con la seguente motivazione: «… il Graduato alpino riusciva a far palesare le reali intenzioni di un militare afghano e consentiva di limitare le conseguenze dell'azione stragistica, grazie allo spiccato intuito, alla straordinaria chiarezza d'intenti e all'esemplare determinazione, pur restando, nel corso dell'evento, gravemente ferito». Il suo bagaglio di esperienze e sensazioni le ha raccontate nel libro «La patria chiamò» (ed. Mursia).
In queste pagine svela tutto il suo pensiero: «Quando
parti per una
missione così
impegnativa, sai che
qualcosa può non andare
secondo i piani… Mi sono mosso per servire il mio Paese e
aiutare coloro che sono in La sua testimonianza da voce a tutti i Caduti in quella martoriata terra. Confuta le superficiali affermazioni di voci falsamente “pacifiste”: «Sono partito per servire. Ora da qui lo posso fare meglio, girando per testimoniare contro i falsi slogan che la presenza degli Alpini in quelle terre è necessaria». E la sua grave menomazione elimina ogni sospetto demagogico. La sua forza? «È carattere, e la consapevolezza che se sono sopravvissuto è merito di Qualcuno lassù. Ma pure la povertà, vista e vissuta, mi ha cambiato: ora gusto tutto più di prima, ho maggior consapevolezza del valore di ogni cosa che prima davo per scontata». «Sono fiero e orgoglioso della Divisa che indosso, di essere italiano e, più di tutto, di far parte degli Alpini». E gli Alpini, con la stragrande parte degli italiani, sono fieri di lui.
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